La Suprema Corte di Cassazione si è espressa, attraverso l’ordinanza del 5 marzo 2019, n. 6346, in tema di danno biologico da mobbing.
Il caso.
Una società datrice di lavoro propone ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello di Messina, che aveva condannato la società al risarcimento del danno biologico da mobbing in favore di una ex dipendente, grazie ad un presunto difetto di legittimazione passiva dopo che il CTU aveva accertato che il danno, nella misura dell’8%, era coperto dall’assicurazione obbligatoria INAIL.
La decisione della Corte.
I giudici del Palazzaccio chiariscono che la controversia è relativa non al difetto di legittimazione passiva del datore di lavoro, bensì all’accertamento dei comportamenti denunciati dal lavoratore.
La Cassazione sottolinea che un intento persecutorio unitario nella condotta del datore di lavoro, e dei colleghi, nei confronti del lavoratore, determina il mobbing, che può determinare danni all’integrità psico-fisica dello stesso lavoratore.
Tali condotte sono riconducibili all’inadempimento del datore di lavoro degli obblighi di sicurezza ex art. 2087 c.c.
In aggiunta, gli Ermellini chiariscono che “la tutela assicurativa INAIL è estesa ad ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell’attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l’organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi indicati”.
I giudici di merito considerano così fondato il ricorso non per il difetto di legittimazione passiva della società ricorrente, quanto per la non effettiva sua titolarità del rapporto fatto valere in giudizio.
L’accertamento di un danno biologico in misura dell’8% deve infatti essere ricondotto all’assicurazione obbligatoria INAIL, nella sussistenza dei presupposti per l’esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro.
A seguito di tali ragioni, il ricorso viene accolto e la sentenza cassata con rinvio.