La Sentenza della Corte di Cassazione del 29 novembre 2018, n. 30899 si è espressa sul caso di una signora che ricorre in giudizio per l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro domestico tra lei e il cognato, per vedersi riconoscere tutte le prestazioni di legge conseguenti.
La Corte territoriale afferma che la prestazione lavorativa della signora presso la casa del cognato risulta come opera gratuita, offerta per benevolenza ed affetto verso un familiare.
Alla luce di ciò la signora propone ricorso in Cassazione, lamentando che la sentenza impugnata non aveva tenuto in considerazione che tutte le prestazioni di lavoro domestico svolte erano da inquadrare nell’ambito di un lavoro subordinato tra affini, giacché determinava un soddisfacimento dei bisogni del beneficiario, a discapito delle energie psicofisiche della stessa.
La decisione della Corte
I giudici di piazza Cavour non hanno ravvisato alcun vizio nella motivazione della Corte territoriale confermando, quindi, l’inesistenza del vincolo di subordinazione tra i cognati.
I principi che hanna orientato l’espressione della Corte sono sostanzialmente due, e rendono l’accertamento del vincolo di subordinazione tra parenti e/o affini più delicato:
- il vincolo di subordinazione può sussistere anche tra parenti e affini;
- il rapporto di parentela o di affinità affievolisce la subordinazione, maggiormente evidente in un rapporto tra estranei.
Nel caso di specie, primeggia la presunzione di gratuità: la prestazione resa in favore di un familiare si presume essere offerta con benevolenza, con affetto o comunque con il desiderio di rendersi utile alla famiglia.
Il soggetto irchiedente l’accertamento del vincolo di subordinazione, affinché sia vinta tale presunzione, deve dimostrare, rigorosamente, i caratteri propri della subordinazione, in particolar modo l’onerosità e l’assoggettamento al potere direttivo ed organizzativo altrui.