La Corte di Giustizia Europea, attraverso la sentenza emessa, il 24 ottobre 2019, nella causa C-35/19, ha stabilito che:
“l’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro … che, senza prevedere alcuna giustificazione al riguardo, dispone che l’esenzione fiscale applicabile alle indennità per disabilità sia subordinata alla condizione che dette indennità siano erogate da un organismo dello Stato membro interessato ed esclude, dunque, dal beneficio di tale esenzione le indennità della stessa natura erogate da un altro Stato membro, ancorché il beneficiario di dette indennità risieda nello Stato membro interessato”.
Nel pronunciamento i togati europei rilevano, in via preliminare, che tutti i cittadini dell’Unione, a prescindere dalla loro nazionalità, che abbiano usufruito del diritto alla libera circolazione dei lavoratori ed abbiano esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di residenza, sono contemplati nella fattispecie di applicazione dell’art. 45 TFUE.
Per la Corte continentale, una misura idonea ad impedire la libera circolazione dei lavoratori decretata dall’art. 45 TFUE è ammissibile esclusivamente qualora punti ad uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e sia giustificata da motivi imperativi d’interesse generale.
Secondo il pronunciamento della Corte, una misura del genere deve essere idonea a garantire il conseguimento di quanto cercato, senza eccedere quanto è necessario per la realizzazione dello scopo.
Secondo la CGUE, mancando tale giustificazione, la normativa che stabilisce una differenza di trattamento tra i residenti in un Paese basata unicamente sull’origine del loro reddito, può ostacolare l’esercizio, da parte di questi ultimi, del loro diritto alla libera circolazione nei vari Stati membri.