La Corte di Giustizia UE, grazie alla sentenza C-274/18, del 03 ottobre 2019 ha stabilito che è contraria alla normativa europea, una legge nazionale che delinei – per i lavoratori a tempo determinato – una durata massima dei relativi rapporti superiore per i prestatori part-time rispetto ai dipendenti a tempo pieno comparabili.
Nel pronunciamento, i giudici europei sottolineano, preliminarmente, che, per quanto concerne le condizioni di impiego, i lavoratori part-time non possono subire un trattamento meno favorevole rispetto ai prestatori full-time comparabili per il solo motivo che svolgono la loro attività a tempo parziale, eccezion fatta qualora un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.
Per la Corte UE, il fatto che, nell’ambito dei contratti di lavoro a termine, i prestatori part-time hanno la possibilità di lavorare durante un periodo più lungo dei dipendenti a tempo pieno rappresenta, da un lato, un vantaggio per i primi, in base alla difficoltà, di accedere a un contratto a tempo indeterminato in specifici ambiti (come , per esempio, quello delle università).
Tale situazione, comunque, riduce o rimanda nel tempo – in misura maggiore per i lavoratori part-time rispetto a quelli full-time – la possibilità di accedere ad un contratto a tempo indeterminato.
La CGUE può quindi statuire che bisogna ritenere contraria alla disciplina legislativa europea la normativa nazionale che fissa, per i lavoratori a termine, una durata massima dei relativi rapporti superiore per i lavoratori part-time rispetto a quelli a tempo pieno comparabili, a meno che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni oggettive e sia proporzionata rispetto a dette ragioni.